I miner di criptovalute che operano in Kazakistan sperano che Stati Uniti e Russia lascino crescere i propri affari, dato che il governo sta ponendo un freno a questo settore produttivo nel paese.
Dopo l’esodo cinese, i miner si sono installati nel paese dell’Asia centrale. Da allora hanno assorbito rapidamente la capacità energetica prodotta dal paese e per questo il governo kazako ha dovuto interrompere la fornitura di energia. La situazione è diventata critica quando sono state necessarie misure per arginare i problemi legati alla scarsità energetica provocata dall’attività di mining di criptovalute.
Per questo, il governo ha posto un limite all’installazione di nuovi impianti per il mining di criptovalute. Il limite di consumi è stato fissato in 100 megawatt a ottobre. Il limite stabilito effettivamente è stato superiore per non compromettere il potenziale sviluppo di nuovi impianti di mining in Kazakistan.
In seguito, durante il periodo di interruzione della fornitura di energia elettrica, il governo ha promesso alle imprese che operano legalmente nel paese, che non saranno applicate restrizioni ai consumi elettrici. Non ci è voluto poi così tanto tempo per scoprire che si trattava di una promessa senza fondamenti che è stata presto infranta.
Molti miner hanno già interrotto la propria attività nel paese e si sono trasferiti negli Stati Uniti, dove alcuni Stati come il Texas sono in grado di offrire energia a basso prezzo e un ambito regolamentato e favorevole allo sviluppo di questo tipo di impresa nel settore crypto.
Altri invece puntano alla Russia dato che possiede grandi eccedenze energetiche. Ma non si può negare che l’instabilità politica del paese rappresenti una grossa barriera in entrata per i miner in quel paese.